Eccoci qua signore e signori! Finalmente il momento della vendetta: manita subìta, scudetto scucito dal petto e medagliette da secondi. Esattamente ciò che tutti aspettavano e non vedevano l’ora. Perché scriviamocelo chiaro, ogni tifoso ha le sue gioie, chi la gioia nel festeggiare le disfatte altrui e chi le gioie vere. Che sia chiaro, la finale dell’Inter del 31 maggio non è una sconfitta, è proprio una caduta dalle stelle, persino di faccia, perché il menefreghismo e l’arroganza sono stati puntiti nel giusto modo.
Ci hanno fatto e ci stanno facendo una testa enorme, di più non se ne può. Anzi, serve proprio chiudersi in una bolla. Liberi tutti. Liberi di ridere, di sfottere e di godere. Liberi di godere del nostro disastro calcistico, perché non vedevano l’ora delle facce sconfitte, degli sguardi persi nel vuoto e dei meme pronti in bozza da settimane. Non vedevano l’ora di leggere i titoloni dei giornali che passano dalla poesia all’autopsia della disfatta. Non si aspettava altro che vedere smontare, pezzo dopo pezzo, ogni certezza che si era costruita.
Forse tutto sfottò? Forse. Ma tanta cattiveria, tantissima. Cattiveria che con il calcio non ha niente a che fare, nemmeno con la rivalità. Con quella sensazione viscerale che supera ogni limite, i limiti della sportività. Sono come gli avvoltoi, tutti lì, con il becco puntato, perché senza l’Inter da odiare sono vuoti.
Peccato che la storia non si spezza con una sconfitta, neanche con una bruttissima sconfitta. Perché bisogna sempre ricordarsi che siamo dolore, con quel chiaro dolore in faccia. Siamo passione e rinascita, anche quando il cielo ci crolla addosso. Siamo l’Inter, e l’Inter non muore in una notte. Sappiatelo, tutti. Perché l’Inter fa rumore quando cade, da sconfitta, da ferita, fa sempre paura. Specialmente a coloro che godono con la cattiveria e la sconosciuta sportività.
Godete, sorridete dei vostri teatrini, ma ricordate specialmente una cosa: l’Inter torna sempre. Sempre.